mercoledì 17 settembre 2008
L'italia e la serpe razzista
Milano, 14 settembre 2008. Intorno alle sei del mattino, mentre la città, fredda e grigia, ancora sonnecchia e si prepara per la giornata di lavoro ormai incipiente, in via Zuretti un giovane italiano dalla pelle scura come l’ebano, originario del Burkina Faso, insieme a due amici si avvicina con passo assonnato ad un bar dove i tre si fermano un momento per fare colazione. Un cappuccino e una brioche, probabilmente, in perfetto stile milanese, o anche detto “bauscia”. Il colore della loro pelle tuttavia non mente, i due baristi, padre e figlio, in cuor loro si augurano che i tre delinquenti se ne vadano via il prima possibile, li guardano con aria sospetta mentre ridono allegramente, magari pronunciando alcune frasi enigmatiche nella loro lingua madre che subito spaventano i due proprietari. “Chissà cos’avranno detto quei tre negri?”, va dicendo il padre al figlio, mentre il gruppetto di amici si allontana lungo la via con passo lento ma felice; “non so, pà, non farci caso; cazzo te ne frega, l’importante è che se ne siano andati e che abbiano pagato quanto dovevano”. All’improvviso, tuttavia, spunta una piccola serpe verde, silenziosa ma letale, dalla piccola scatoletta dei biscotti da cui i tre amici, inavvertitamente, hanno preso alcuni biscotti, dimenticandosi però sbadatamente di pagarli. “Pà, cazzo, quei negri ci hanno rubato i biscotti!”, sbotta decisamente furibondo il figliolo dietro il bancone, mentre il padre, estraendo da sotto il bancone due robuste spranghe di ferro e investendo il figlio prediletto di una di esse, esclama:”Ora figlio, andiamo a mostrare a quei negri di merda, che questa è casa nostra!”. Impugnando le spranghe come fossero due spade, i due baristi corrono fuori dal proprio bar con la furia di un leone che sta per azzannare la propria preda[…]. Il resto della storia penso che ormai la conosciate; uno dei tre ragazzi, Abdul William Guibre, 19 anni, è stato brutalmente ucciso sprangate dai due baristi a cui avevano rubato solo alcuni biscotti. Questa storia, tanto assurda da risultare ormai “nella norma”, non è altro che il più grave e il più insensato di una serie di episodi che si sono susseguiti da quando il nuovo governo di Mister B. si è insediato a Palazzo Chigi; ricordiamo tra gli altri, l’assalto indiscriminato ad un campo rom a Napoli, le ripetute aggressioni a danno della comunità gay di Roma e, infine, la presunta volontà di schedare i bambini rom sostenuta dal ministro dell’interno R. Maroni. Questi episodi, gravi e inaccettabili, dovrebbero allarmarci, ripensando anche alla storia del nostro paese che già ha conosciuto il fenomeno delle leggi razziali promulgate da Mussolini nel 1938, poiché è chiaro che stiamo assistendo, ogni giorno con sempre più intensità, alla diffusione di una mentalità discriminatoria nei confronti di coloro che, per motivi diversi, dal colore della pelle all’orientamento sessuale, non si possono, o forse sarebbe meglio dire non si vuole, considerare italiani come gli altri. Il governo di Mister B., pur non essendo l’uovo della serpe, non ha lesinato a tenerlo al calduccio e a coccolarlo perché si schiudesse precocemente, facendo della politica della paura contro l’immigrato, forte dell’appoggio della xenofoba Lega Nord, l’arma principale con cui ha sedotto il popolo e ha trionfato alle elezioni. Purtroppo, la mano dura dell’esecutivo non si è fatta attendere, nascondendosi dietro alla falsa etichetta dell’allarme sociale, sia per quanto riguarda il problema dell’immigrazione clandestina, sia per quanto riguarda il problema della prostituzione, che sono stati affrontati, soprattutto quest’ultimo, troppo frettolosamente e in maniera totalmente inadeguata, fornendo soluzioni facili ma di scarsa lungimiranza. Infine, quello che di più grave questo episodio mostra, è la presunta convinzione di potersi fare giustizia per proprio conto, indipendentemente dalla magistratura, una restaurazione preoccupante della legge del più forte che il governo non dimentica di mostrare ogni giorno, agendo a colpi di maggioranza ed esautorando completamente ogni possibilità di dialogo con l’opposizione.
sabato 6 settembre 2008
Elezioni americane 2008
A meno di sessanta giorni dalle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti d’America, i candidati, senatore Barack Obama per il partito democratico e senatore John McCain per quello repubblicano, hanno scoperto tutte le proprie carte e i propri programmi e si avviano a sfidarsi frontalmente in una delle più emozionanti campagne elettorali degli ultimi anni. Sembrano così lontani i giorni in cui anche in Italia si era in pieno clima elettorale, tuttavia si può ben notare che, a differenza che negli Usa, da noi è mancata assolutamente quell’appassionata volontà di cambiamento che entrambi i candidati americani, seppur nelle loro proprie caratteristiche, tentano invece di mostrare. Sia Obama sia McCain hanno capito che il paese è stanco dell’amministrazione Bush e che ha bisogno di una scossa profonda per risollevarsi e per tornare a dominare la scena internazionale come ha sempre fatto dalla fine della Guerra Fredda. Così Obama si è espresso nel suo discorso di accettazione della candidatura presidenziale: “America, we are better than these last eight years. We are a better country than this.”; al contrario McCain ha pronunciato queste parole: “And after we’ve won, we’re going to reach out our hand to any willing patriot, make this government start working for you again, and get this country back on the road to prosperity and peace.”. Si può allora capire come il vero motto di queste imminenti elezioni sia il rinnovamento, il cambiamento che persino il candidato repubblicano, partito da cui proviene lo stesso presidente G.W. Bush, ha saputo cogliere dalle vicende degli ultimi mesi, un’economia in profonda crisi, una disoccupazione salita a livelli preoccupanti, un esercito che ancora fatica ad imporre la vittoria sia in Iraq e ancor più in Afghanistan. Dopo aver letto i discorsi effettuati dai due candidati, personalmente sento di dover confermare il motto inaugurato da J.Biden, candidato scelto da Obama per la vicepresidenza, che afferma: “Obama is the change, McCain is more of the same”, poiché il programma elettorale di Obama che prevede, tra le altre, proposte come l’estensione dell’assicurazione sanitaria per tutti i cittadini, maggiori aiuti alle famiglie per garantire l’istruzione adeguata ai propri figli e un graduale ritiro dal territorio iracheno si presenta veramente come una proposta riformista; il programma di McCain, al contrario, e della sua candidata alla vicepresidenza Sarah Palin, pur riprendendo in alcune tematiche prioritarie, problemi affrontati anche da quello di Obama, sembra essere influenzato dalla politica ormai ammuffita di Bush e del suo partito e sembra anche non avere quella carica propulsiva che invece mostra il programma democratico. Occorre fare, a questo punto, una profonda riflessione e chiedersi di quale profonda malattia soffra il sistema politico italiano che non ha saputo offrire un solo candidato che sapesse incarnare lo spirito di cambiamento e che sapesse comprendere la necessità di un profondo riformismo per superare quella che si mostra essere come la più grave crisi economica dopo la grande depressione del ’29. Sia Berlusconi sia Veltroni, infatti, hanno riproposto in modi diversi, le stesse tematiche che in Italia si stanno discutendo ormai da troppi anni, senza trovare alcuna soluzione e togliendo invece lo spazio per le questioni importanti e le sfide che si dovrebbero invece intraprendere per rilanciare il paese. Gli Usa, pur nelle loro contraddizioni storiche, si sono dimostrati ancora una volta una democrazia estremamente più vitale e consapevole della nostra e da cui spesso, ma non sempre, dovremmo prendere esempio.
Come volevasi dimostrare!!!
Il seguente pezzo, tratto liberamente da Repubblica, 06/09/08, mostra come le prospettive future per la nuova Alitalia illustrate da Scalfari e riportate nel mio articolo non siano solamente frutto di una ingenua diffidenza nei confronti dell'operato del governo Berlusconi e della cordata di imprenditori confluiti in Cai.
Sacconi esclude che Air France possa arrivare ad avere la maggioranza della nuova Alitalia. Tremonti è prudentissimo, e dice che del Piano Fenice e dei futuri, possibili rapporti con i francesi parlerà mercoledì in Parlamento.
Ma Parigi travolge il canovaccio di tutele e prudenze e reticenze italiane. E da fonti vicine alla compagnia franco-olandese trapela che l'intenzione reale è quella di controllare Alitalia tra cinque anni, quando scade il divieto di cessione delle quote da parte dei soci Cai. "In linea teorica - dicono dalla Francia - vorremmo avere il controllo di maggioranza. Ma, per il momento, siamo disposti anche ad entrare in pista con il 10-20%".
La notizia è stata inoltre riportata sul quotidiano francese La Tribune, come riportato ancora da Repubblica.
La girandola di voci, che si era fermata per qualche giorno, è ripartita stamani con un articolo su La Tribune. Secondo il quotidiano economico francese molto legato all'industria, "prima ci sarebbe l'acquisto di un 10-20% nella newco Alitalia. Poi nel 2013 la possibilità, per AF di prendere la maggioranza del capitale". La proposta, si spiega, "sarebbe stata formulata in segreto alla compagnia franco-olandese dai dirigenti di Intesa Sanpaolo lo scorso 27 agosto".
Ne riparleremo nel 2013, anche se spero che non serva.
Sacconi esclude che Air France possa arrivare ad avere la maggioranza della nuova Alitalia. Tremonti è prudentissimo, e dice che del Piano Fenice e dei futuri, possibili rapporti con i francesi parlerà mercoledì in Parlamento.
Ma Parigi travolge il canovaccio di tutele e prudenze e reticenze italiane. E da fonti vicine alla compagnia franco-olandese trapela che l'intenzione reale è quella di controllare Alitalia tra cinque anni, quando scade il divieto di cessione delle quote da parte dei soci Cai. "In linea teorica - dicono dalla Francia - vorremmo avere il controllo di maggioranza. Ma, per il momento, siamo disposti anche ad entrare in pista con il 10-20%".
La notizia è stata inoltre riportata sul quotidiano francese La Tribune, come riportato ancora da Repubblica.
La girandola di voci, che si era fermata per qualche giorno, è ripartita stamani con un articolo su La Tribune. Secondo il quotidiano economico francese molto legato all'industria, "prima ci sarebbe l'acquisto di un 10-20% nella newco Alitalia. Poi nel 2013 la possibilità, per AF di prendere la maggioranza del capitale". La proposta, si spiega, "sarebbe stata formulata in segreto alla compagnia franco-olandese dai dirigenti di Intesa Sanpaolo lo scorso 27 agosto".
Ne riparleremo nel 2013, anche se spero che non serva.
martedì 2 settembre 2008
Quale futuro per Alitalia?
Si è giunti ormai alle ore decisive per un possibile salvataggio di Alitalia, la compagnia aerea di bandiera che deve far fronte attualmente ad un debito di 1,172 milioni di euro, secondo le stime riportate dalla stessa azienda nell’agosto 2008, e che il governo Berlusconi, dopo il fallimento del piano proposto da Air France-Klm, sta cercando di salvare da un inevitabile fallimento. Credo che occorra, per comprendere adeguatamente la questione e poter esprimere giudizi coscienziosamente, illustrare le linee essenziali sia del piano Fenice, proposto dall’attuale governo, sia il piano AirFrance discusso invece durante gli ultimi giorni di attività del governo Prodi. Il piano studiato da Intesa-San Paolo e dal governo Berlusconi , denominato “Fenice”, si basa sulla possibilità offerta dalla modifica della legge Marzano approntata dal governo di dividere Alitalia in due compagnie, una “bad company”, in cui confluirebbero tutte le attività non proficue dell’azienda e i debiti finanziari accumulati durante gli anni di cattiva gestione, affidata allo Stato italiano e in una “good company”, in cui al contrario rimarrebbero una parte della flotta Alitalia e tutti gli asset funzionanti della compagnia, destinata a confluire nella nuova Compagnia Aerea Italiana, società fondata ad hoc da una cordata di imprenditori italiani con un capitale iniziale di circa un miliardo di euro. Questa operazione è subordinata al commissariamento di Alitalia, già decretato dal cda della compagnia il 29 agosto 2008 che ha affidato l’azienda ad Augusto Fantozzi, nominato direttamente dal presidente del consiglio, e quindi dal suo fallimento. Il piano Fenice prevede inoltre un’aggregazione della “good company” con Airone, al fine di instaurare il monopolio sulla linea Milano-Roma, l’accordo con almeno una grande compagnia internazionale, possibili sono gli accordi con AirFrance o Lufthansa, il rinnovo del management della compagnia e infine un modello di network che abbandona l’idea dell’hub centralizzato, ma preferisce invece delocalizzare le attività su una rete di sei aeroporti per servire adeguatamente la rete nazionale e internazionale a medio raggio. Infine, si prevede di rinnovare completamente la flotta della compagnia, riducendola però a soli 136 aeromobili da portare a 150 entro il 2013, e di stipulare nuovi contratti di lavoro con i dipendenti, di cui una parte sarà però in esubero(che dovrebbero aggirarsi attorno ai seimila), aumentando le ore di volo del personale; condizione necessaria imposta dagli imprenditori italiani per l’avvio del progetto è il previo accordo sindacale sulla questione del piano industriale e degli esuberi. Il piano AirFrance al contrario proponeva un acquisto dell’intera compagnia attraverso un’opa riservata a tutti gli azionisti al fine di rendere il Tesoro italiano socio di minoranza, un aumento di capitale nell’ordine dei 750 milioni di euro e infine il riacquisto dei bond convertibili emessi dalla compagnia italiana al loro valore nominale; le condizioni necessarie sarebbero state l’esubero di 1600-1700 dipendenti e il ridimensionamento di Malpensa, dal momento che l’hub italiano sarebbe stato Fiumicino. Tralasciando ora i dettagli più strettamente finanziari dei due piani, vorrei esprimere alcune riflessioni personali sulla questione. In primo luogo, quale futuro può avere una compagnia che abbandona il modello del network centralizzato attorno all’hub, adottato da tutti i grandi vettori internazionali da Delta ad AirFrance e Lufthansa, riducendosi ad una piccola azienda regionale, che mira a coprire la rete nazionale ma abbandona la maggior parte delle linee intercontinentali? Per salvare l’italianità di Alitalia, si è così creato un nano che dovrà riuscire a farsi spazio in un giardino popolato da giganti; secondo me, non sarà il salvataggio la vera sfida della cordata di imprenditori, ma sarà il rilancio di una compagnia azzoppata e regionalizzata. Un’ulteriore dettaglio che vorrei sottolineare è la questione degli esuberi che, dai circa 1600-1700 previsti da AirFrance, sono arrivati a quasi seimila secondo le ultime stime proposte per il piano Fenice; se qualcuno potesse spiegarmi secondo quale logica ragionano i sindacati italiani, lo prego sinceramente di spiegarmi la ragione di questa decisione, che ora non sembra altro che un grande abbaglio. Infine, il piano AirFrance prevedeva l’acquisto dell’intera compagnia con tutte le attività valorizzabili, ma anche con i debiti finanziari e le attività improduttive, mentre ora il piano Fenice lascia allo stato i debiti da saldare(come se lo Stato italiano non avesse già i suoi da saldare) e in più tutte le attività malate da smantellare e gli esuberi da gestire; è facile fare gli imprenditori o invocare la cordata italiana saccheggiando una compagnia delle sue attività proficue e accollando alla comunità di coloro che non ne ricaveranno nulla, sia che l’azienda riparta sia che non lo faccia, tutti i debiti da saldare. Per concludere, aspetterei a dichiarare come un miracolo il piano Fenice, visto che quest’ultimo perde su ogni punto rispetto al piano AirFrance, ma piuttosto spererei che non si compia l’”imbroglio” di Eugenio Scalfari, che sulla Repubblica del 31 agosto 2008 mostrava la possibilità concreta che nel 2013, data di scadenza per il divieto di vendita delle azioni di Cai degli imprenditori della cordata, la compagnia possa poi essere venduta ad un vettore straniero; in tal modo avremmo allora conservato solo l’italianità dei debiti di Alitalia. Un gran risultato per il governo Berlusconi.
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