martedì 2 settembre 2008

Quale futuro per Alitalia?

Si è giunti ormai alle ore decisive per un possibile salvataggio di Alitalia, la compagnia aerea di bandiera che deve far fronte attualmente ad un debito di 1,172 milioni di euro, secondo le stime riportate dalla stessa azienda nell’agosto 2008, e che il governo Berlusconi, dopo il fallimento del piano proposto da Air France-Klm, sta cercando di salvare da un inevitabile fallimento. Credo che occorra, per comprendere adeguatamente la questione e poter esprimere giudizi coscienziosamente, illustrare le linee essenziali sia del piano Fenice, proposto dall’attuale governo, sia il piano AirFrance discusso invece durante gli ultimi giorni di attività del governo Prodi. Il piano studiato da Intesa-San Paolo e dal governo Berlusconi , denominato “Fenice”, si basa sulla possibilità offerta dalla modifica della legge Marzano approntata dal governo di dividere Alitalia in due compagnie, una “bad company”, in cui confluirebbero tutte le attività non proficue dell’azienda e i debiti finanziari accumulati durante gli anni di cattiva gestione, affidata allo Stato italiano e in una “good company”, in cui al contrario rimarrebbero una parte della flotta Alitalia e tutti gli asset funzionanti della compagnia, destinata a confluire nella nuova Compagnia Aerea Italiana, società fondata ad hoc da una cordata di imprenditori italiani con un capitale iniziale di circa un miliardo di euro. Questa operazione è subordinata al commissariamento di Alitalia, già decretato dal cda della compagnia il 29 agosto 2008 che ha affidato l’azienda ad Augusto Fantozzi, nominato direttamente dal presidente del consiglio, e quindi dal suo fallimento. Il piano Fenice prevede inoltre un’aggregazione della “good company” con Airone, al fine di instaurare il monopolio sulla linea Milano-Roma, l’accordo con almeno una grande compagnia internazionale, possibili sono gli accordi con AirFrance o Lufthansa, il rinnovo del management della compagnia e infine un modello di network che abbandona l’idea dell’hub centralizzato, ma preferisce invece delocalizzare le attività su una rete di sei aeroporti per servire adeguatamente la rete nazionale e internazionale a medio raggio. Infine, si prevede di rinnovare completamente la flotta della compagnia, riducendola però a soli 136 aeromobili da portare a 150 entro il 2013, e di stipulare nuovi contratti di lavoro con i dipendenti, di cui una parte sarà però in esubero(che dovrebbero aggirarsi attorno ai seimila), aumentando le ore di volo del personale; condizione necessaria imposta dagli imprenditori italiani per l’avvio del progetto è il previo accordo sindacale sulla questione del piano industriale e degli esuberi. Il piano AirFrance al contrario proponeva un acquisto dell’intera compagnia attraverso un’opa riservata a tutti gli azionisti al fine di rendere il Tesoro italiano socio di minoranza, un aumento di capitale nell’ordine dei 750 milioni di euro e infine il riacquisto dei bond convertibili emessi dalla compagnia italiana al loro valore nominale; le condizioni necessarie sarebbero state l’esubero di 1600-1700 dipendenti e il ridimensionamento di Malpensa, dal momento che l’hub italiano sarebbe stato Fiumicino. Tralasciando ora i dettagli più strettamente finanziari dei due piani, vorrei esprimere alcune riflessioni personali sulla questione. In primo luogo, quale futuro può avere una compagnia che abbandona il modello del network centralizzato attorno all’hub, adottato da tutti i grandi vettori internazionali da Delta ad AirFrance e Lufthansa, riducendosi ad una piccola azienda regionale, che mira a coprire la rete nazionale ma abbandona la maggior parte delle linee intercontinentali? Per salvare l’italianità di Alitalia, si è così creato un nano che dovrà riuscire a farsi spazio in un giardino popolato da giganti; secondo me, non sarà il salvataggio la vera sfida della cordata di imprenditori, ma sarà il rilancio di una compagnia azzoppata e regionalizzata. Un’ulteriore dettaglio che vorrei sottolineare è la questione degli esuberi che, dai circa 1600-1700 previsti da AirFrance, sono arrivati a quasi seimila secondo le ultime stime proposte per il piano Fenice; se qualcuno potesse spiegarmi secondo quale logica ragionano i sindacati italiani, lo prego sinceramente di spiegarmi la ragione di questa decisione, che ora non sembra altro che un grande abbaglio. Infine, il piano AirFrance prevedeva l’acquisto dell’intera compagnia con tutte le attività valorizzabili, ma anche con i debiti finanziari e le attività improduttive, mentre ora il piano Fenice lascia allo stato i debiti da saldare(come se lo Stato italiano non avesse già i suoi da saldare) e in più tutte le attività malate da smantellare e gli esuberi da gestire; è facile fare gli imprenditori o invocare la cordata italiana saccheggiando una compagnia delle sue attività proficue e accollando alla comunità di coloro che non ne ricaveranno nulla, sia che l’azienda riparta sia che non lo faccia, tutti i debiti da saldare. Per concludere, aspetterei a dichiarare come un miracolo il piano Fenice, visto che quest’ultimo perde su ogni punto rispetto al piano AirFrance, ma piuttosto spererei che non si compia l’”imbroglio” di Eugenio Scalfari, che sulla Repubblica del 31 agosto 2008 mostrava la possibilità concreta che nel 2013, data di scadenza per il divieto di vendita delle azioni di Cai degli imprenditori della cordata, la compagnia possa poi essere venduta ad un vettore straniero; in tal modo avremmo allora conservato solo l’italianità dei debiti di Alitalia. Un gran risultato per il governo Berlusconi.

1 commento:

Umberto ha detto...

Caro Andrea, ho letto con piacere questa tua analisi dettagliata, e concordo con le osservazioni da te proposte.
Credo che sia davvero difficile credere a Mr. B. quando dice che i debiti non ricadranno sui contribuenti, dal momento che egli stesso afferma che la "bad company" sarà di gestione statale: posto che lo stato è fatto dai contribuenti, da un punto di vista fiscale, non c'è altra possibilità se non che siano proprio questi ad accollarsi i debiti di Alitalia.
La cosa che più mi infastidisce è l'aver regalato il buono dell'azienda a un manipolo di "imprenditori", dopo che spesso, anzi troppo spesso, gli stessi hanno fallito in precedenti azioni imprenditoriali. Come al solito si è tolta un'azienda italiana alle regole del mercato attraverso un'azione statale, che pur di far rimanere per pochi anni l'Alitalia in mani italiane, ha scelto la via meno conveniente e più complessa per lo stato.
Alla fine ne guadagneranno quegli imprenditori, che ancora una volta sono stato aiutati dallo stato vista la loro mancanza di competenza, che li ha messi troppo spesso fuori mercato.
Speriamo in bene.
A presto.